Horror Vacui
Lo spazio non è più rifugio ma vertigine. La modernità ha consumato i suoi margini e il progetto abita una soglia che scivola: non promette consolazioni, semmai un esercizio di presenza nel vuoto. Qui l’immagine non riempie: sottrae. Il pieno diventa rumore, il contorno perde autorità, la funzione arretra e resta un campo instabile di possibilità.
È in questo interstizio che nasce la forma: breve, effimera, capace di apparire come una crepa e subito mutare. Non appartiene a chi disegna né a chi osserva; attraversa entrambi come un’aria fredda che chiarisce i bordi delle cose. Il progetto allora non ordina, ma ascolta; non aggiunge, ma dispone le condizioni perché il nulla risuoni.
E quando il nulla risuona, la materia ricorda di poter essere leggera: l’ombra diventa misura, la grana del tempo un alfabeto, l’errore un varco. Horror vacui non è paura del vuoto: è riconoscere che dal vuoto nasce la possibilità di ogni figura. E sostare lì, un attimo in più, finché lo sguardo impara a vedere.